SCRIPTA MANENT - 29/01/2009

Il "sogno" della ragione genera mostri (F. Goya)

DI CIRO

Caro Emilio, stavolta ti scrivo stimolato da un sms ascoltato alcuni giorni fa in radio da un ascoltatore che commentava i ripetuti – ahimè - casi di violenza carnale. L’amico citava la frase – tratta da una trascrizione in calce a un acquaforte del pittore spagnolo Francisco Goya (1746-1828): “Il sonno della ragione genera mostri”. La frase suscita un convincimento che fu anche il mio, tanto da sceglierla quale traccia della prova d’esame di maturità. Se mi spingo a riflettere su tale diffusa interpretazione – che cioè, in sostanza, il mancato uso o addirittura l’assenza della ragione genera comportamenti umani aberranti – è perché a seguito di una modesta ricerca mi son dovuto ricredere circa il vero significato della frase, aiutato anche dalla mia discreta conoscenza della lingua spagnola. Pare infatti che la citazione voglia dire esattamente il contrario! Mi spiego. In spagnolo la frase è: “El sueño de la razon produce monstruos”. Peccato che il termine “sueño” può indicare sia il sonno del dormiente che l’oggetto del sonno stesso. Infatti in “castellano” il termine non distingue, come in italiano, tra sonno e sogno. A ciò si potrebbe obiettare che è arbitrario definire unilateralmente il reale intendimento di Goya. Ebbene può aiutarci l’esame del quadro storico contemporaneo al pittore e la sua produzione artistica, al fine di significare rettamente la frase, spesso utilizzata - aggiungo io a torto - come motto principe per enfatizzare l’uso incondizionato della “Ragione” quale strumento assoluto per giungere alla verità. Infatti ritengo che la ragione non è l’unico strumento di conoscenza, ma anche i sensi e i moti del cuore ciascuno nelle sue esperienze. Affermava Pascal, insigne fisico e matematico del 600, che “l’ultimo passo della ragione è riconoscere che c’è qualcosa che la supera”. La ragione non spiega i tanti interrogativi cosmici ed esistenziali (Einstein: Perché esiste il tutto e non il nulla?). La ragione non si contrappone, per esempio, alla spiritualità, semmai la integra, così che per il credente la fede sia anche “ragionevole” e mai faziosa, superstiziosa, preconcetta o dogmatica.

Fin dall’antichità la filosofia ha indagato circa l’essenza e l’uso della ragione, ma per sinteticità, e del resto non ne avrei i mezzi, mi soffermo sull’illuminismo francese, che tanta parte ebbe nello sviluppo del razionalismo e del positivismo scientifico. L’illuminismo che con le sue implicazioni filosofiche, scientifiche, politiche eccetera, sorto nel settecento “secolo dei lumi”, aveva tra i suoi padri gente come Rousseau, Voltaire, che comunque affermava: “Ho interrogato la mia ragione. Le ho domandato che cosa essa sia. Questa domanda l'ha sempre confusa”. Ci si spertica elogiando l’atteggiamento razionalista verso la vita, dimenticando l’errore che si è rivelato sostituire - secondo la prospettiva di fede - la concretezza dell’uomo “quale davvero è” con “quello che dovrebbe essere”, frutto di dibattiti in scintillanti salotti mondani (da qui nasce la figura dell’intellettuale, colui che usa l’intelletto, la ragione, spesso un benestante), secondo uno schema teorico precostituito cui deve bisogna adattarsi. Da qui nascono le ideologie e certi regimi, promossi da questi nuovi sacerdoti della dea ragione. Il bilancio moderno è sotto gli occhi di tutti. L’irrazionalismo religioso ha fatto posto agli “amici dell’umanità”, i paradisi in terra studiati a tavolino (vedi Marx) si sono rivelati inferni per milioni di persone e genocidi. Ma sì, tanto entusiasmo circa l’uomo buono per natura (Rousseau), che finalmente si “elimina” (letteralmente) aristocrazia e clero, che insegue valori di solidarietà pacifica e giustizia sociale (i famosissimi “Libertè, Fraternitè, Egalitè) cosa genera all’indomani della rivoluzione del 1989? L’arruolamento obbligatorio dei “cittadini” (termine nato all’epoca e che prendeva il posto di “persone”), costretti a partire per la guerra “moderna”, che coinvolgeva non solo le truppe volontarie ma mieteva vittime anche tra i civili. E poi Robespierre, il Terrore, il massacro di migliaia cattolici nella Vandea, il tribunale del popolo (?!?) che mandava alla ghigliottina non solo gli aristocratici prima al potere ma anche molti di quelli sospettati di essere “dall’altra parte”. E per finire, ciliegina sulla torta, sale agli allori un suo “derivato” ideologico: Napoleone Bonaparte, il dittatore europeo, il precursore di Hitler. E’ la cosiddetta “eterogenesi dei fini”, cioè il capovolgimento delle intenzioni degli uomini nel loro concreto risultato opposto e spesso registrato dalla storia. Goya visse in quel periodo. Assistette al massacro di tanti civili spagnoli da parte delle truppe d’occupazione francesi a Saragozza e non solo (famoso il suo quadro di una fucilazione). Per farla breve, questi e altri accadimenti indussero il pittore in uno stato di pessimismo circa la natura umana, testimoniato da tanti quadri del periodo con rappresentazioni nefaste, raccapriccianti, mostruose (prima lavorava a corte con risultati pittorici eccellenti e di ben altro genere).

Ebbene, come già detto, assolutizzare la Ragione annullando tutto il resto, fra tutti l’idea stessa di Dio (appunto come propugnava l’illuminismo) ha generato epurazioni, lager e gulag, guerre e stermini. Il “sogno” della ragione, cioè l’inseguire chimere, desideri astratti e vaghi circa la costruzione di una teorica società perfetta, ove regna sovrana pace e giustizia e gli uomini sono tutti uguali e si rispettano, senza tener conto dei limiti dell’uomo e della sua tendenza al bene ma anche al male, ebbene è proprio questo utopistica irreale “sogno” che sì genera mostri! Il sano realismo non rinchiude in gabbie ideologiche l’uomo, sapendolo un abisso di bene e di male, e che il rischio delle due possibilità risiede nella personale libertà. Così il buon vecchio Gaber ammoniva questo uomo pieno di sé ed ebbro nella sua “emancipazione”: “… di (non) credere solo agli alambicchi della ragione… …convinto che la forza del pensiero sia la sola libertà... la libertà non è star sopra un albero… è partecipazione

Un abbraccio Ciro