PRIMA PAGINA - 12/11/2008

Alessandro Manzoni: un pezzo di merda

DI PAOLO COLAGRANDE

E mio padre? Fio se ci penso mi sputerei addosso, ho venduto la sua casa con dentro la sua tomba, compresa nel rogito: l’abbiam lasciata là nel giardino, la tomba, neanche per cagate le meste spoglie paterne. E prima di vendere, io e mia mamma a riflettere su cosa fare delle meste spoglie paterne; Sandro, mi dice Giulia Beccaria, siamo pratici, è più il regò di trovar un operaio che ti fa l’estumulazione al giorno d’oggi, che lasciarlo lì dov’è, il sepolcro, senza contare che al catasto l’immobile è registrato insieme col sepolcro e le meste spoglie, bisognerebbe star lì chiamare un geometra fare il frazionamento, sai i maroni; e poi chi paga?, che gira e rigira è sempre lì che casca l’asino, casomai gli diciamo ai compratori di metterci due o tre fiori. E poi mi giustificavo che avevo avuto un’infanzia difficile, il Conte Pietro Manzoni non era mica mio padre vero, io ero un cosiddetto fuorivìa di mia mamma, e mia mamma stessa poi mi aveva trascurato, inutile girarci intorno, che detto confidenzialmente a livello di prender dei sifoli non scherzava mica neanche lei, mia mamma Giulia, tra Giovanni Verri e Carlo Imbonati e poi e poi; che io Carlo Imbonati anche se giuro che non l’ho mai visto in faccia, tra parentesi mi stava sulle balle Carlo Imbonati, tranne quando è morto che allora lì cambia il disco, ci ha lasciato tanta di quella pila a me e a mia mamma, che allora io ho scritto in morte di Carlo Imbonati, dove Carlo mi appare in sogno e mi dice di conservar la mano pura e la mente, né proferir mai verbo che plauda il vizio o la virtù derida. Ciusca, sarò ben un bastardo.