PRIMA PAGINA - 20/03/2007

Mi chiamo Luca Josi (appello per lasciare il potere a 60 anni)

POSTATO DA: VIVIANA

Mi chiamo Luca Josi.

Ho quarant'anni, ho due figlie da due matrimoni, ho due vite professionali ormai distanti tra loro ma sono ormai ventun anni che ricevo inviti per partecipare a convegni sul ricambio generazionale. Forse è per questo che quando parlo con uno straniero, e mi scappa imperdonabilmente un "noi giovani", rischio di passare per dislessico.

Da una parte è vero che una classe dirigente il potere se lo conquista, è che è difficile che gli anziani lascino il posto spontaneamente ai cosiddetti giovani. Ma ho anche pensato che dietro questa fisiologica esigenza di ricambio, da parte mia o nostra, possa nascondersi un atteggiamento molto italiano per cui si chiedono cose che poi non domanderemo a noi stessi; chiedere ricambio generazionale, ossia, ma senza garantire che un domani, quando toccherà a me, saprò comportarmi di conseguenza.

Perciò ho scritto l'appello che vi chiedo di leggere, e che è appunto sconta il linguaggio giocoforza ampolloso e un po' aulico di tutti gli appelli. Molti l'hanno già firmato così com'è, dunque lo lascio intatto nella sua sostanza. Il tema non è ideologico ma appunto generazionale, e sto provando a coinvolgere persone dalle esperienze e dagli orientamenti più diversi. E' un modo di far sapere, alle generazioni successive, che il problema del loro futuro, la coperta o il tappo, non saremo noi.

L'appello non ha la velleità di voler pregiudicare a un'intera generazione tutti gli scranni dell'universo mondo, ma impegna circa una manciata di incarichi istituzionali perlopiù pubblici. Riguarda, in pratica, la decina o quindicina di incarichi posti ai vertici della politica di un Paese. Difatti il privato, il mondo dell'impresa soprattutto multinazionale, non ha bisogno di appelli come questo: si è già regolato di conseguenza e già sa quanto il ricambio generazionale sia semplicemente una necessità e un investimento.
L'appello, pure, non pretende di impegnare le generazioni che ci precedono, e che oggi figurerebbero già fuori quota, perché è giusto o normale che la loro uscita di scena sia fisiologica. In molti casi si tratta di una gerontocrazia che ha contribuito all'esistenza di generazioni appunto come le nostre, che talvolta hanno rimosso ogni avventura di responsabilizzazione e che sono cresciute nell'idea di essere ancora giovani a quarant'anni. E noi non possiamo sapere se tra dieci o venti anni cadremo nello stesso inganno, ma un segno possiamo darlo subito. E potrebbe essere un segno importante.
Ciò che desidero è ovviamente che tu possa sottoscrivere e firmare l'appello che qui segue, ma in qualsiasi caso mi piacerebbe avere la tua opinione.
Grazie.


Un Patto

Una comunità è viva quando condivide un sentimento, una missione, quando si riconosce in una chiamata. Una comunità, assieme al piacere di ritrovarsi, può condividere una responsabilità che tuttavia la obbliga ad un impegno, ad un programma per chi verrà: non per decidere del destino altrui, ma per offrire il proprio.

Sentirsi insostituibili è una debolezza umana che col passare degli anni confonde molti uomini, e si tenta invariabilmente di allungare l'esistenza e di negarne le età. Noi non possiamo sapere se tra dieci o venti anni cadremo nello stesso inganno, ma abbiamo la possibilità di pensare, sin da oggi, a uno strumento che ci impedisca di interpretare a nostra volta un ruolo civilmente malsano.

Sappiamo che un'indubbia gerontocrazia ha dato vita a generazioni che hanno rimosso e allontanato ogni avventura di responsabilizzazione, e che sono cresciute nell'idea di essere ancora giovani, ancora protette e inadeguate, magari all'età di quaranta anni. E' in questo modo che una società, come figlia di genitori morbosamente protettivi, non si sviluppa e ritarda il suo confronto con la realtà al pari di un adulto privo di adolescenza.

Per questo, forse, può servire accendere nel nostro Paese un comportamento, un'attitudine e obbligare una generazione a svegliarsi. Darle un segno per spiegare che il problema del suo futuro, la coperta o il tappo, non saremo noi.

Per poter cambiare, dunque, serve il tuo e nostro esempio che trasformi in realtà una necessità. Se tu non sarai il primo a farlo, non potrai pretendere che altri lo facciano per te. Non potrai chiedere ad altri un impegno che per te non vale. Perciò serve un gesto, uno strappo, forse una rinuncia.

Chi di noi, quindi, coerentemente a quando chiede ricambio e competitività, è disposto, oggi, a sottoscrivere un patto che lo impegni, raggiunta l'età dei 60 anni, a lasciare o non accettare un ruolo di leadership (cariche primarie della politica e dell'economia) continuando ad offrire il suo impegno nei ruoli di vice, di numero due, di saggio, di consulente o di qualsiasi altra posizione che consenta alla società di avvantaggiarsi e non disperdere la sua esperienza?

Guerre e tragedie, ad altre generazioni, hanno rapito il domani. Noi abbiamo avuto molto, e, se anziché chiedere saremo pronti a dare, ad autolimitare a soli altri vent'anni la finestra del nostro potenziale primato, tutto ciò richiamerà all'obbligo di crescere chi giovane lo è ancora davvero.

Una comunità che diventa leader anticipa il cambiamento, anticipa un futuro passo indietro per obbligare altri a farne in avanti. Così vivono le nazioni che emergono, che esplorano: dove l'errore è lecito perché si cresce provando, mettendo alla prova nuovi talenti.

Forse così, senza stupore, un giorno avremo un governo guidato da un quarantenne come Stati Uniti, Gran Bretagna o Spagna. Un quarantenne con vent'anni di responsabilità avanti a sé.

dal sito www.pattogenerazionale.com