LIBRI - 20/12/2006

"Le anime morte" di N. Gogol'

DI SAMANTHA SORRENTINO

I libri migliori, li leggo chissà perché, sempre d’inverno, e chissà perché gran parte dei libri migliori che ho letto, sono stati scritti da russi. Da russi dell’800, capaci, comunque di parlare a chi quegli inverni non li ha mai vissuti così freddi, ma a cui, a distanza di centinaia d’anni si riesce a raccontare, di morti, di amori, di contadini, di inquietudini e di vita sociale

Il libro russo di quest’ inverno si chiama Le anime morte, opera incompiuta di Nikolaj Gogol’.

La figura dell’autore è molto complicata. Morì suicida, rifiutando ogni tipo di alimentazione, la mattina del 21 febbraio 1852, proprio pochi giorni dopo aver comunicato al suo editore, di aver finito la II parte di questo romanzo.

Gogol’ resta una figura affascinante e controversa della letteratura. Fu, scrittore, insegnante, amico di poeti illustri, “malato di nervi” come lui stesso si definiva, e gran viaggiatore (molte delle pagine di questo romanzo sono state scritte anche nei lunghi soggiorni romani), quasi un’anima maledetta, un bohemien dell’altra parte del mondo.

Le anime morte, è come lo definì l’autore, un poema. Proprio come i grandi poemi della storia di ogni letteratura, a partire da quella del mondo antico, questo libro, attraverso i suoi personaggi ci racconta la storia di una società, e ci trascina, senza peraltro farci avvertire alcuna fatica, nella terra russa.

In questa stessa terra si muove il protagonista del romanzo, Pavel Ivanovič Čičikov, alla ricerca di anime morte da comperare per potersi avvalere di alcuni sussidi statali, che, nel suo non precisato progetto, dovrebbero almeno servirgli a diventare un ricchissimo signorotto. Già , quello che spinge il nostro, a girare in lungo e in largo la sterminata madre Russia, è il desiderio di arricchimento. Gogol’ stesso ci spiega, nel romanzo, da dove nasca questa ansia di ricchezza. Ci trasporta, con un flashback, nella storia del giovane bambino Čičikov, a cui il padre, che morì lasciando qualche logoro indumento personale e una vecchia casa, alla vigilia del primo giorno di scuola, dando un soldino al figlio disse: bada a risparmiare il soldino: è questa la cosa più importante del mondo. Il compagno o l’amico ti ingannerà (…) ma il soldino non ti tradirà. Tutto farai e tutto otterrai a questo mondo con il soldino.

Bene, il bambino, non solo non spenderà quel soldino, ma cercherà di accumularne sempre di più, per potersi poi dare al godimento di tutti quei piacerei e agi, cui lui stesso si sottrae, per amore del risparmio, in virtù di un grande e definitivo arricchimento.

Incontrerà, nei suoi lunghi viaggi, il protagonista di questo romanzo, diverse tipologie di individui, di ogni cultura e classe sociale, e riuscirà ad adattarsi a tutti. È un camaleonte il nostro Čičikov, un uomo senza coscienza, pronto a sacrificare sensazioni e modo di essere per compiacere il suo interlocutore e adeguarvisi per farsi benvolere. Non a caso spesso, l’autore indugia su dialoghi che potremmo definire doppi, da un lato quelli che avvengono in realtà, dall’altro quelli nelle singole menti degli interlocutori, e naturalmente dello stesso Čičikov.

È un romanzo civile, è un romanzo sociale, è un romanzo di coscienza, perché le coscienze le scuote, anche se come dice Gogol’, l’uomo è strano (…) perché si rendeva conto che la colpa di tutto era anche sua, ma con se stesso non se la prendeva (…) tutti abbiamo la piccola debolezza di essere indulgenti con noi stessi e preferiamo trovare tra il nostro prossimo qualcuno su cui sfogare la nostra scontentezza (…) ma lasciamo ora andare chi è il più colpevole. Lasciate che il colpevole Čičikov entri nelle vostre serate. Guardatelo com’è, guardate come si può diventare.



N.B. Piccola nota personale, la musica che mi ha spesso accompagnata nella lettura di questo libro, è stata quella di Damien Rice.