LIBRI - 20/10/2007

"La casta" di G.A. Stella e S. Rizzo

DI ALESSANDRO D'ALESSANDRO

Tutti quelli che leggono (pochi in questo paese di analfabeti) conosceranno ormai questo celebre libro dal quale è partita tutta l’antipolitica qualunquistica (così dicono i marpioni messi alla gogna) che sta provocando nel paese una crisi di rigetto foriera forse di qualche novità. Quello che segue dunque è per chi non lo avesse ancora letto.
Volete sapere quanti politici ci amministrano? Poco meno di 180.000. Volete sapere quanto spendiamo per remunerarli? Poco più di 1 miliardo e 750 milioni di € l’anno. Volete sapere qual è la maggiore attività della gran parte di questi signori? (non tutti naturalmente; una piccola parte di essi è gente d’onore che lavora seriamente per il Paese e per la gente che amministra) La maggiore attività è quella di accumulare stipendi, pensioni, consulenze, indennità, tutte a costo zero perché per questi amministratori è quasi tutto gratis: pasti, spostamenti, scorte ecc. Siamo sinceri: chi di noi, occupando un posto così, non penserebbe di lasciarlo ai figli o alle amanti? Ed ecco come è nata la casta. Il Paese è ormai in mano a un esercito di puttanieri che quando vengono a Roma, se non ci sono prebende da arraffare, se la spassano in hotel di prima categoria con “coperte” di prima qualità, senza nessuna protesta dei familiari i quali sanno bene da dove proviene il pane, ma soprattutto il companatico, di cui mangiano.
Chi volesse saperne di più e più in dettaglio si legga attentamente questo bel libro, in qualche momento un po’ troppo sovraccarico di cifre che si sarebbero potute relegare in note svelte e sveltenti, e avrà completo il quadro di come si gode i nostri soldi la casta dei nostri amministratori, tranne, come detto, le dovute eccezioni. Niente di male! Sono i costi della democrazia. Anche se si trattasse della metà dei soldi (1 miliardo di €) e della metà degli amministratori (100.000), cifre comunque pazzesche, dovremmo comunque accettarle perché i regimi democratici sono ovviamente costosi. I problemi secondo me sono altri: 1) buona parte di questi signori si prende stipendi e quant’altro, ma non fa nulla per il Paese perché tutta intenta ad occuparsi esclusivamente di come risponderà in termini di voti a ciò che percepisce; 2) non ha coscienza morale.
E siamo al punto. Perché la bellezza di circa 200.000 italiani non si pone questo semplice problema morale: “Ma è giusto che io mi appropri di emolumenti che mi vengono erogati perché amministri il Paese occupandomi invece esclusivamente dei cavoli miei (familiari, sessuali e elettorali)?” La risposta è semplice: perché i nostri politici corrotti ogni mattina entrano in chiesa (possibilmente una basilica, dove i confessionali sono più numerosi), si inginocchiano a un confessionale e, dopo aver ingannato se stessi con dei pretesti, ingannano il povero confessore che, ligio alla morale cattolica, molinista (*) da vecchia data, alla fine trova il modo di assolverli con una penitenza che non costa niente (i famosi tre pater ave e gloria). E se il primo confessore, già in odore di giansenismo (*), non li dovesse assolvere, basta cambiare confessionale o cercare un religioso indaffarato e disattento: l’assoluzione è sicura e il corrotto è autorizzato a continuare.
Adesso però i politici onesti si stanno inventando di scrivere un “codice morale”, cioè una serie di regole non imposte con le leggi ma che ogni politico dovrebbe scriversi nel cuore, cioè nella coscienza. Ma quale coscienza ha il cattolico che ruba in modo subdolo (cioè da vigliacco, non da ladro gentiluomo), che poi si autoinganna con un pretesto [(ho famiglia e un figlio handicappato): in realtà il ragazzo va solo male a scuola, come è ovvio!] e poi con questo pretesto si fa assolvere dal confessore connivente? Ha appunto una coscienza cattolica, come a dire cioè “molto elastica”. Non è che nei paesi protestanti la corruzione non esista; ma il corrotto, la sera, prima di dormire, non avendo confessore che lo assolva, se la deve vedere direttamente con Dio, cioè con la sua coscienza, e se riesce a scampare al giudizio di questa, poi deve rendere conto a quella della moglie, poi dei figli, poi della sua comunità, poi degli altri politici e infine del suo elettorato [che ne sanno i politici italiani e gli italiani in genere della responsività (responsiveness) di cui parla la Harendt?]. Generalmente, se è colpevole di reati gravi, nelle culture protestanti, il politico corrotto si uccide. Da noi chi si è mai ucciso per motivi di coscienza? Nessuno. Chi scrive è convinto che i suicidi di mani pulite si siano suicidati solo dopo aver realizzato di essere stati incastrati da altri corrotti senza scrupoli e più furbi di loro e di non avere quindi più in mano alcuna arma di ricatto.
Ecco, appunto, il ricatto! La nostra è una democrazia bloccata perché un pugno di uomini (circa 10.000) tiene in pugno il parlamento e l’intero paese avendo in mano notizie di reato che lascia imputridire sotto quintali di carta rispolverabili in qualsiasi momento. Parlo dei magistrati, per l’appunto. E’ vero o no che un terzo dei nostri parlamentari ha dei guai con la giustizia? E’ vero o no che con le intercettazioni telefoniche la magistratura tiene sotto controllo l’intero paese? Due anni fa su “Il sole 24 ore” lessi che venivano autorizzate non so quante intercettazioni telefoniche l’anno. Tolti i bambini, i più vecchi, i religiosi, e moltiplicato quattro (cioè quanti sono i componenti di un nucleo familiare normale), veniva un numero di intercettati pari a tutti gli abitanti di questo paese. Tanto è vero che i magistrati si spiano anche tra loro come si è visto col caso Squillante e, mi pare, Tatò. Ciò spiega anche perché una sofisticatissima cultura giuridica, qual è la nostra, tutta presa a tenere in pugno i maggiori sospettati (cioè gli amministratori), lasci poi in circolazione grandi evasori, taglieggiatori di alto rango, assassini ecc., i quali ormai si dividono in due categorie: 1) gli indigeni che osano tutto non essendo perseguitati né moralmente né legalmente; 2) gli oriundi, i quali, dovendo essere intelligenti perché spaesati, ci mettono poco a capire che si può fare tutto, tanto con un buon avvocato non si fa neanche un giorno di carcere e tutt’al più si va agli arresti domiciliari, regolarmente violabili.
Che vogliamo fare? La coscienza non c’è. I giornalisti, imbavagliati, dicono solo quel che possono dire, sennò perdono il posto. Il paese preferisce occuparsi di calcio invece di vedersi gli affari suoi. La risposta è una sola: la democrazia è bloccata, non resta che ricorrere alla retorica trombona dei latinisti di una volta: “hic Rhodus hic salta!” e ovviamente “hic manebimus optime!”. I magistrati in genere il latino lo sanno, specialmente se si tratta di frasi celebri.

(*) per i lettori sprovveduti: il giansenismo (=rigorismo morale) è una corrente del cattolicesimo che nacque nel 1600 in seno all’ordine dei gesuiti, al quale apparteneva un certo padre Molinas, sostenitore del molinismo (=morale indulgente), che da lui prese il nome e che propugnava la casistica, cioè l’accertamento di tutte le circostanze e di tutti gli elementi del contesto all’interno del quale il peccato era stato commesso. In tal modo, valutate tutte le variabili attenuanti (casistica < casi), quasi tutti i peccati potevano essere assolti. Ovviamente il giansenismo, considerato eretico, ha procurato, e procurerebbe ancora oggi, la scomunica al cattolico che vi aderisse. La sostanziale indifferenza della Chiesa cattolica verso Manzoni, uno dei nostri padri della patria, per altro fervente cattolico, è dovuta al sospetto di giansenismo che quasi tutta la sua opera suscita in chi legge.