CINEMA - 24/11/2006

"Babel" di A. Inarritu

DI FABIO PUCCI

Babel è il titolo del nuovo lavoro di Inarritu, scritto dal fido collaboratore Guillermo Arriaga (responsabile anche dello script dl bellissimo "le tre sepolture"), le cui storie si intracciano tra Marocco, Messico e Giappone.
Anche in questo suo ultimo lavoro ritroviamo tutti gli elementi tipici del suo cinema: senso di colpa, disperazione, difficoltà di elaborare un lutto, solitudine e innocenza perduta.
Il tutto, coadiuvato da un'incidente, dal "caso", che darà la spinta necessaria affichè i personaggi facciano i conti con le proprie emozioni, con le proprie paure e debolezze.
Se col suo secondo film, 21 grammi, sembrava che Inarritu avesse già ragiunto un cinema di maniera, con questo "babel" rimette tutto in discussione, creando un affresco corale
decisamente risucito e coinvolgente. Certo, è vero che qui tutto funziona alla perfezione (fin troppo) e che si ha la percezione che il regista sappia di essere bravo.
Miracolosamente questo finisce per non incidere sul risultato finale. Se è vero che la storia ambientata in Giappone è forse la più "forzata", e per certi aspetti anche la più furba,
è altrettanto vero che l'episodio messicano è il più sincero ed emozionante tassello di tutto il cinema dell'autore. Premiato per la regia allo scorso festival di Cannes, "babel" è un gran bel film che, per la pima volta, si avvale di una bella e intensa interpretazione di Pitt.