CINEMA - 29/02/2008

Cinema amatoriale per raccontare il teatro amatoriale

DI BORIS SOLLAZZO

Teatro, che passione. Emanuele Barresi, attore professionista all’esordio come scrittore e regista di cinema, ne sa qualcosa. E decide, con buona intuizione, di raccontare la vita, sul palcoscenico e non, di una compagnia di attori dilettanti. Universo parallelo e riduzione delle gioie e le miserie della vita, il teatro amatoriale è spesso un insieme di amore per l’arte e ricerca di una comunità di simili e nel suo Non c’è niente da fare cerca di riportare quell’impegno tenero e caparbio di chi vuole sognare e far sognare. Anche gratis. Il film, tutto ambientato nella sua Livorno (bella e vera come sempre) vede le prove di “Cavalleria Rusticana”(novella di Verga, opera lirica del livornese Mascagni) come coro e contraltare alla vicenda vera che gira intorno al regista teatrale (Stefano Filippi, niente male), sempre in bilico tra precarietà, disoccupazione e un amore contrastato. Ovviamente realtà e finzione si intrecciano, e l’amore e la chiave per entrambi. La svolta sociale avviene con il commendator Baciocchi (il pisano Andrea Buscemi) che decide di vendere il teatro dove recita la compagnia dei Perseveranti per darlo a una banca. Da mansueti e timidi gli attori diventano fieri oppositori del sistema, tra catene e occupazioni. Il buon cast (volti noti e non: su tutti Paolo Ruffini, ottimi anche Papaleo, Rohrwacher, Pisu, Valeri e Isabella Cecchi), però, si confronta con una regia ingenua e povera, non solo di mezzi. Quasi che il teatro amatoriale necessiti di un cinema dilettantesco per essere raccontato. Barresi, comunque, ha spunti interessanti e merita una prova d’appello. Profetico il Bobby Solo in colonna sonora: “Non c’è niente da fare, ma è stato bello sognare…”.