CINEMA - 7/9/2007

"La città proibita" di Z. Yimou

DI FABIO PUCCI

Zhang Yimou, autore importante di film importanti come "vivere" e "lanterne rosse", in crisi creativa dopo la separazione dalla compagna Gong Li e dopo diversi tentativi di "rinnovare" il suo cinema (alcuni, peraltro, decisamente riusciti) nel 2004 decide di "sposare" un genere, il wuxia (parte integrante della tradizione cinematograica orientale). Probabilmente anche spinto da una nuova "moda" (ri)lanciata grazie alla "tigre e il dragone" di Ang Lee. E proprio da questo titolo, Zhang prende le caratatteristiche "new age" (che tanto hanno fatto storcere il naso a molti critici) e le trasporta nel suo cinema.
Ecco quindi una visone particolarmente "estetizzante" ed eterea del wuxia, priva di quella "carnalità" che aveva fatto grandi i film di Cheh Chang.
Questo almeno in "hero". Le cose cominciano a prendere una direzione diversa nel successivo "la foresta dei pugnali volanti" che, se nella prima parte non si discosta molto dal predecessore, nella secondo mostra decisamente un "respiro" diverso.
Ed ora, con questo ideale capitolo conclusivo, Zhang abbandona completamente tutta l'"impalbabilità" del wuxia "new age". Intendiamoci, la componente estetica continua ad avere una funzione fondamentale (e simbolica). Ma stavolta l'autore concentra maggiormente la sua attenzione verso gli intrighi e le passioni dei personaggi che affollano la pellicola.
Lasciata anche la sua nuova musa, la splendida Zhang Ziyi, Zhang ritrova la concretezza del suo cinema migliore. Complice, probabilmente, anche una grande Gong Li che riempie lo schermo di sofferenza e solitudine con i suoi splendidi e intensi primi piani.
Un film finalmente "sanguigno". Bello.