CINEMA - 18/04/2007

"Shooting Silvio" di B. Carbone

DI BORIS SOLLAZZO

Shooting Silvio. Nella traduzione del titolo c’è tutto il film di Berardo Carboni: colpendo Berlusconi, filmando Berlusconi. Questa l’anima di un film autoprodotto e autodistribuito, in tournèe itinerante dal 4 marzo fino a giugno, (storia affascinante, leggetevela sul sito www.shootingsilvio.com) parla di un giovane artista, orfano, ricco e infelice, Giovanni Crea (Federico Rosati), detto Kurtz, alla ricerca della sua grande impresa. L’eliminazione di chi considera l’incarnazione del male: Silvio Berlusconi. Di cui vediamo gli ormai famosi e tragicomici filmati di repertorio, animazioni irriverenti e cartonati inquietanti. Fino alla scena finale, scena madre e figlia di questo film, nel bene e nel male. Sequestro e assassinio di un premier, tema forte anche del prossimo Death of a president, docufiction su un futuribile attentato a Bush. Ma qui siamo solo nella fiction. Carboni ha una buona mano, più adatta alla macchina da presa che alla penna dello sceneggiatore. Si fa aiutare da un cast volenteroso anche se non sempre all’altezza (da segnalare Melanie Gerren, il pur inadeguato Rosati, oltre ai caratteristi Iuorio e Haber e alle guest star Travaglio e Remo Remotti). Mette su una storia stralunata e strapazzata, in bianco e nero, formata da spunti estemporanei di buona originalità e gustoso impatto e da ingenuità irritanti, ma spesso inevitabili. Ma la sua operazione sovversiva in parte riesce: il film, pur altalenante, interessa. L’iconoclastia è verso Berlusconi e l’antiberlusconismo: riesce il regista, per esempio, in quello che Moretti non ha fatto ne Il caimano: raccontarci, con banale semplicità, la faccia buona di re Silvio, quella che conquista tutti. Parafrasando il Gaber citato nel film, non Berlusconi in sé, ma quello in noi. Il vero mostro.