CINEMA - 18/04/2007

"Ho voglia di te" di L. Prieto

DI BORIS SOLLAZZO

Premessa: Tre metri sopra il cielo ci era piaciuto. Ogni generazione, ogni paese ha il suo tempo delle mele ed è snob e stupido sottovalutarlo o criticarlo. Ho voglia di te ne è il secondo capitolo, tratto dall’omonimo sequel, operazione commerciale più che letteraria, di Federico Moccia. Un successo di pubblico annunciato quanto immeritato. Colpa del manico, dello scrittore e del giovane regista Luis Prieto che, se possibile, peggiora persino il libro. Regia improbabile e piattamente edonista. Scamarcio, di solito bravo, rivestendo i panni del mito Step è distratto persino nella sua versione magnetica. Laura Chiatti si diverte in un ruolo inconsueto, è diligente nell’essere l’anticonformista Gin. Katie Saunders, dopo la buona prova ne L’aria salata, torna ad essere solo straordinariamente bella. Il film è un’accozzaglia di luoghi comuni dove rubano l’occhio solo due comprimari: Susy Laude e Filippo Nigro (bravo, faccia da cinema, Ozpetek se n’era accorto). La storia è posticcia: Step sedotto e abbandonato è scappato in America. Lì si ripulisce, torna non più teppista né violento, ma giovane professionista rampante. Babi si deve sposare ma muore dalla voglia di togliersi l’ultimo sfizio con la vecchia fiamma. Gin, fotografa e ammiratrice segreta da tre anni, cerca di conquistarlo. Con ogni mezzo. Noi, per questo triangolo adolescenzial- borghese, ci sorbiamo quasi due ore di film con ritorni al passato e fughe nel mondo della tv (in cui vediamo sprazzi di ironia decenti). C’è anche della comicità involontaria, come quando Step prende libri con l’aria di chi non ha idea di cosa siano dalla libreria del padre. Unico vero ribelle, visto che sui suoi scaffali è in bella evidenza “No logo” di Naomi Klein. L’ultima frase del film recita “La vita è troppo breve per non essere felici”. E lo è anche per entrare in sala e vedersi questo film.