CHIOCCIOLA - 4/9/2010

RU-486: aborto fa rima con m****.

DI CIRO


Caro Emilio, non posso tacere: la mia esperienza di padre, di persona che ama interrogarsi, nonché tuo estimatore, m’inducono di nuovo a partecipare, a chi interessa ovvio, il mio modesto sintetico contributo per comprendere meglio - prima io che gli altri – il dibattito circa la definizione e l’uso della “RU-486”, ovviamente inserita nel più gravoso tema dell’aborto. Anche tu, che normalmente ti documenti prima di affrontare un tema, stavolta sei incorso in alcune inesattezze, e non lo dico io perché sono un “chissàchi” intellettuale, ma grazie ad internet e un poco alla mia cultura personale son riuscito ad avere quelle notizie che mi premeva approfondire. Non si vuol convincere nessuno a un’opinione ma, scriveva il grande Pascal nei suoi “Pensieri”, invece di forzare gli altri alle nostre convinzioni o di minare quelle altrui, bisognerebbe partire da una base comune di intendimenti e considerare una diversa lente con cui vedere la realtà. Magari l’altro non sbaglia! Ha solo una vista parziale, oppure nessuno lo hai mai invitato ad una d’insieme, più completa. Non parlo perché appartengo a un partito o ad una fede religiosa, le etichette sono appiccicate da quelli che in questo modo devitalizzano sul nascere un pensiero. Semmai avviene il contrario: che cioè trovo, del mio tessuto esistenziale, riscontro in una fede e in parte nella filosofia, nella psicologia, nella politica, insomma in tutte quelle discipline e realtà squisitamente umane e sociali. Il dialogo presuppone l’intenzione di mettersi in gioco e di avere l’onestà intellettuale di riconoscere che se un mio ragionamento è debole perché non si appoggia su dati veri, universali, forti, condivisibili, allora è il momento di rivedere certe posizioni, seppure ciò spesso causa “sofferenza” in quanto muoiono piccole/grandi parti di noi. Niente è peggio dei “secondo me”, del relativismo nel campo della conoscenza. Come dire: dichiaro che i colori dell’A.S. Roma sono bianchi e azzurri perché io li vedo così, perché lo decido io! Se non esiste la verità oggettiva (come la musica, la chimica, la matematica per fare esempi di linguaggi universali) cioè un insieme di realtà intese e rappresentate da tutti allo stesso modo, allora è impensabile pure parlare tra esseri umani! O si vive esteticamente (scelta nel momento di ciò che si vuole per proprio diletto) o eticamente (scelta assoluta e permanente, almeno nell’intenzione, di quel che si avverte vero, giusto). La seconda scelta si badi non è tra bene o male (poi ognuno ha i suoi riferimenti) ma include il coraggio di capire e affrontare la direzione da dare alla propria vita attraverso la “scelta di scegliere” (in contrapposizione all’atteggiamento estetico che per definizione non si ferma su una scelta). Infatti ogni atto quotidiano, seppure di scarso valore, ha uno scopo, frivolo quanto si voglia. Altrimenti è pura follia! Dare un senso alla propria vita vuol dire agire in un certo modo e anche, conseguentemente, dare un senso al dolore e alla morte. Ma questa è un’altra storia.

Dopo il pistolotto vagamente moralistico (ma sdoganiamo pure il termine!) vado con le seguenti precisazioni, poi ognun tragga per sé le opportune conclusioni:

Interruzione: il venir meno di una continuità nello spazio, nel tempo, nell'azione. Pausa, intervallo.

Gravidanza: condizione biologica della femmina dei mammiferi dal momento del concepimento al parto, la durata di tale periodo si dice anche gestazione.

Aborto: dal latino abortus, participio passato del verbo ab-orior, che vale perire, venir meno nel nascere, in quanto è contrario di orior, nascere a cagione della particella privativa e negativa ab che lo precede.

Allora come può l’aborto essere chiamato una “interruzione” volontaria della gravidanza se in realtà la scelta è definitiva ed è “dentro” la sua durata? Per non girare intorno alle parole e attenersi alla realtà l’aborto è un “atto o situazione che pone fine irrevocabilmente a un processo vitale (vita del bambino) in corso”, che potenzialmente ha tutti i caratteri che la natura sta definendo in un percorso di formazione e progressione cellulare. Non vale stabilire un tempo di gestazione del feto per dire se quell’essere vivente è una bimbo oppure no, mi sembrano polemiche sterili, seppure molta scienza ormai è indirizzata ad anticipare sempre più tale momento (a 18 giorni dal concepimento c’è già un cuore pulsante!). Ripeto in potenza quella gestazione è un essere umano, se lasciamo la natura fare il suo corso. La qualità di una persona non è data dal numero o completezza dei suoi organi: pensiamo a chi nasce con malformazioni oppure a seguito di traumi accidentali. Parlavi poi di libertà di decidere della donna (ma è solo affar suo? gli è capitato da sola? dov’è il suo compagno? e quanti dietro scelte così traumatiche si sono defilati codardemente lasciando sola l’amica di una scopata o l’amore di “tutta una vita” diceva lui…) Certo ognuno può decidere per sé, ma non può e non deve disporre di un bene assoluto e prezioso, come la vita (non la sua ricordiamolo) al posto di un altro! Altrimenti saremmo anche giustificati nel sopprimere un assassino, un pedofilo e pure stupratore di bambini, anzi…! Oppure in una deriva morale da “relativismo etico” uccidere tutti i bassi, i pelati e i tifosi dell’Inter (cominciando da Mourinho)!!! E’ una provocazione, è chiaro, ma non esagero: se non c’è limite o convenzione comuni chi stabilisce ciò che si può da ciò che non si può fare? Una volta, anni fa, uno scrittore chiese a diversi intellettuali non credenti perché fare il bene e perché essere buoni. Ognuno, infatti, ha il proprio codice di comportamento a cui solo vuole tener conto, oltre l’ossequio delle leggi. E poi, in ultima analisi, per coloro per cui “il cielo è chiuso” e tutto finisce con la morte, a beneficio di chi, per cosa, fare il bene? Una risposta esauriente non l’ebbe, perché l’estrema conseguenza di un mondo modellato su sé stessi è la mancanza assoluta di senso e riferimenti, di un concetto condiviso di bene e male. Se quel che conta sono io, la mia vita, perché fare del bene al prossimo che conosco poco e male oppure proprio perchè conosco bene mi guardo bene da fargli del bene? (Sì, mi son divertito con i giochi di parole!). Non piacerà, ma purtroppo è la cruda realtà, è una conseguenza. In una società del futuro un giorno si potrà consentire di fare pubblico mercimonio sessuale di uomini, donne, transex, vecchi, bambini, animali, computer e robot! Che male c’è? Ci siamo già vicini! Tornando sul tema: quanti pacifisti a favore dell’aborto! Che contraddizione! Ma molto concretamente si chiedeva Madre Teresa di Calcutta: perché non dovrebbero esserci guerre se una madre può arrivare a uccidere nel proprio grembo il proprio figlio? E’ quasi logico – aggiungo io – che in guerra si possa uccidere l’odiato nemico… Ma tu penserai: che c’entra con la RU486? Leggi il seguito.

RU486 - Il mifepristone è uno steroide sintetico utilizzato come farmaco per l'aborto chimico nei primi due mesi della gravidanza, prodotto sotto forma di pillola. Durante le prime sperimentazioni fu usata la sigla RU-38486, poi abbreviata in RU-486. Rispetto ai metodi abortivi tradizionali non rende indispensabile l'ospedalizzazione e ha il vantaggio di non richiedere un intervento chirurgico. Di contro può portare vari effetti secondari. La RU486 non va confusa con la pillola del giorno dopo, da cui si differenzia sia per i meccanismi di azione sia per i tempi di assunzione. La pillola del giorno dopo, infatti, deve essere somministrata entro 48-72 ore dal rapporto sessuale, e quindi non è assimilabile ad una pratica abortiva (è un contraccettivo). Eppure tu Emilio, dicevi che l’utilizzo della RU486 non è un aborto, quando la definizione scientifica va in altro direzione... Un’ascoltatrice abortista, illusa buonista, piena di buone intenzioni (sappiamo che quest’ultime lastricano le porte dell’inferno) diceva che molto dipende dall’uso che se ne fa della pillola, che bisogna evitare che venga usato come contraccettivo (che invece abbiamo detto è la p.g.d. da usare entro 72 ore). Ma è come mettere una pistola in mano a un bambino! La pistola non è il male in sé, ma come sempre è la volontà di utilizzo (vedi energia nucleare). Una volta chiesi a un sacerdote cattolico se i sistemi di contraccezione naturali previsti dalla Chiesa se utilizzati in modo strumentale e sistematico non celassero anch’essi una volontà – quindi un peccato – di negazione alla vita. Quasi valeva per costoro, beffardi praticanti, usare il preservativo o la pillola: almeno erano più sicuri! Lui con coraggio non negò tale evenienza, perché il peccato - parlo per il credente - non risiede semplicemente nel gesto, ma nel gesto e nella volontà di attuare tale gesto.

Giuramento di Ippocrate: “Giuro che adempirò secondo le mie forze e il mio giudizio questo giuramento e questo patto scritto. Non somministrerò a nessuno, neppure se richiesto, alcun farmaco mortale, e non prenderò mai un' iniziativa del genere; e neppure fornirò mai a una donna un mezzo per procurare l'aborto”.

Giuramento di Ippocrate (versione moderna): “Consapevole dell'importanza e della solennità dell' atto che compio e dell' impegno che assumo, giuro: di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell' uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale; di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente.



Ogni altra considerazione è superflua, certamente non si è detto tutto, sono soli spunti di riflessione, ma già così forse sono stato lungo. Ma per me genitore di diversi (non diciamo quanti ma rasentano la pazzia o l’eroismo a seconda dei punti di vista) quello della difesa della vita è un tema innegoziabile e irrinunciabile, su cui non transigo e sono molto poco democratico, nel senso che la verità non è mai l’opinione dei più, ma l’effettiva oggettiva coscienza e conoscenza delle cose, pure se conquista di una sola persona (Socrate).

Ciro.