CHIOCCIOLA - 10/17/2008

Statali: causa o effetto di un malcostume?

DI CIRO

Emilio,

il 16 ottobre 2008 ho ascoltato i tuoi commenti e gli sms sull’argomento del “lavoro” degli impiegati statali. Non è la prima volta, del resto a Roma, comprese le forze dell’ordine e armate, sono diverse migliaia gli impiegati pubblici quindi, visto che RadioRock è soprattutto locale, potenzialmente interessa molti ascoltatori (tra cui il sottoscritto Funzionario in un ministero). Già col titolo voglio lanciare una provocazione, perché alla fin fine tutti i fenomeni sociali hanno radici comuni nell’animo umano e sono solo sfaccettature diverse degli stessi disagi personali.

Innanzitutto merito per te perché quanto vai dicendo è vero e condivisibile - per le tue opinioni - al 90%, lasciatelo dire da me che ci vivo dentro. Certo bisogna distinguere le istituzioni dalle persone che dentro vi operano perché, come in tutti i consessi umani, c’è del buono e non. Non sono ben visto dai miei colleghi, perché spesso sono molto critico verso la categoria a cui anch’io appartengo. Spesso in Italia si difendono interessi di categoria più che amor di giustizia e onestà. Costoro dovrebbero fare esperienze “da utenti” presso scuole, comuni, ASL, uffici tributari, per capire cosa si prova “dall’altra parte”. Gli stipendi sono oggettivamente bassi (parlo per i non Dirigenti) ma più di qualche malizioso direbbe “pure troppo per quello che fate!” mescolando e generalizzando forse troppo, pur se nella media la considerazione ci può stare. Certo ciò non giustifica il lavorare poco o nulla: nessuno è obbligato, ma chi resta deve accettare le regole del gioco. Pensa: per questo motivo ci sono persone che si ritengono giustificate a non fare nulla: in questo modo si rendono ancora meno onesti! Il problema centrale è questo: lo stipendio non è commisurato alla quantità di lavoro svolta (a volte non per scelta ma in certi uffici il da farsi è poco cosa) o ai meriti acquisiti in servizio, ma dalle ore e minuti che il mio posteriore occupa la poltrona! Detto in modo spiccio: chi lavora e chi non lavora prende gli stessi soldi! Questo non può andare! Perché se non sono di mio più che onesto/volenteroso/leale/morale (in una parola fesso!) nessuno mi “obbliga” a sfaticarmi anche per chi fa poco! Finché il lavoro nel pubblico impiego (dimenticando gli utopistici patetici ideali illuministici per cui “l’uomo è buono per natura”) dipende dalla buona volontà dei singoli, non si andrà mai avanti. Se ciascuno di noi avesse un’azienda pagherebbe di propria tasca stipendi e contributi a gente che non fa nulla? Credo poco nei controlli (chi controlla i controllori?) perché sindacalisti (i rappresentanti del lavoro che essi non svolgono) e dirigenti spesso lascian fare o non si impegnano a perseguire taluni comportamenti (sarebbero dei “poliziotti reazionari al soldo del Ministro”). Loro spesso fan riferimento a una ristretta cerchia di impiegati efficienti di cui sanno che posson fidarsi, tralasciando altri o inetti o in gran parte “paraventi” (a Napoli si dice: “Fa ‘o scemo pe’ nu gghì a’guerra). Anch’io farei lo stesso pur di mandare avanti il lavoro, e loro hanno responsabilità cui devono rispondere. Poi per brevità non parlo delle risorse economiche spesso sprecate in rifacimenti, ristrutturazioni, cambio di apparecchiature e quantaltro… Ormai si sta informatizzando tutto, ma oltre gli alti costi ti assicuro che non si vede un analogo beneficio di tempo e semplicità nell’azione amministrativa: perdo più tempo ora che tutto è computerizzato che non prima che tutto era “cartaceo”. Fino a qualche anno fa il 40% degli impiegati pubblici serviva per… far funzionare sé stesso! Cioè i “sevizi interni”! Forse un pochino ora è migliorato al cosa, ma tantè… Francamente mi avvilisco un po’. Vedo poche vie d’uscita. La soluzione per me è all’interno delle persone più che nel ricambio di strutture ed assetti dirigenziali/governativi, ciò attiene comunque tutti gli ambiti umani (scuola, politica, sport, sanità eccetera).

Emilio caro, avrei molto altro da dire, ma sarei (lo son già stato) troppo lungo, con rispetto parlando. Chiedo, infine, comprensione per tutti i travet romani cui tanti, stavolta dico io maliziosamente, vorrebbero appartenere! Ma la “pacchia” sta per finire…

Ciao Ciro