CHIOCCIOLA - 6/18/2008

Mail di Ary

DI ARIANNA

Ciao Emi,

sento praticamente tutte le mattine la trasmissione ma sono impossibilitata a mandare sms o interagire con la radio in quanto la mattina sono al lavoro.

Sentendo oggi la trasmissione, prima dell’arrivo di Paolo, dopo svariati messaggi di lavoratori, contratti assurdi e via dicendo, ho pensato di mandarti una mail con la mia testimonianza.

Lavoro in un bar tavola calda da tre anni e mezzo.

Entrai li dentro come cuoca nel gennaio 2005 come cuoca. Mi sarei dovuta occupare dei primi, secondi, contorni e frutta, dal lunedì al venerdi dalle 6 e mezza del mattino alle 15. Della pizzeria se ne occupava un’altra ragazza, che era anche addetta alle pulizie.

Sono stata messa “in regola” per cosi dire, in quanto mi hanno fatto un contratto di apprendistato (anche se non avevo nessuno da cui apprendere tranne me stessa) dopo 6 mesi di lavoro in nero. Tutto questo per far si che i miei datori di lavoro potessero pagare meno tasse.

Il primo anno diciamo che è servito da insegnamento sul relazionarsi con i capi. Lei e lui. Lui durante il 2005 si occupava di un altro bar quindi era presente solo dopo pranzo.

Passato il primo anno, di ritorno dalle ferie d’agosto del 2006, la ragazza che si occupava delle pizze è rimasta incinta. I miei datori di lavoro, anziché cercare un sostituto hanno prima di tutto temporeggiato con scuse campate per aria riguardo le sue assenze, per poi assegnarmi la pizzeria.

Ciò significava occuparsi del reparto pizzeria e cucina (senza nessun aumento di stipendio o qualcosa di simile). Il boss (lui) mi disse che mi avrebbe aiutato in cucina cosi da alleggerirmi il lavoro, dato che aveva lasciato l’altro bar. Il suo aiuto in cucina consisteva nel preparare tre sughi al giorno e spadellare i primi all’ora di pranzo (gran bell’aiuto).

L’anno dopo (e siamo a settembre 2007) la ragazza è tornata. Ma lui è rimasto in cucina. Ciò significa che da settembre, oltre ad occuparmi della cucina (niente primi) mi sono ritrovata a dover lavare i piatti all’ora di pranzo fino all’ora di chiusura. Poi se ne sarebbe occupata la pizzaiola.

Inutile dire che lavorare tre anni con loro è stato qualcosa di inimmaginabile. Pagano regolarmente, ma per il resto è un inferno. I boss sono una coppia, ma non parlano tra loro. Se uno dice una cosa, l’altra ti dice il contrario. Lui soprattutto è una contraddizione vivente. Ti fa notare gli errori (o quello che per lui sono errori) e lo fa solo davanti ad altre persone cominciando ad urlare, bestemmiare, insultare e tirare cose per terra. Il bello è che non finisce mai il discorso. Si lamenta, ti sgrida e se ne va finendo il discorso da solo. Se solo provi a rispondere alza la voce, e nella migliore delle ipotesi ti senti urlare contro “Io non sbaglio mai. Io ho sempre ragione, quindi tu hai sbagliato”.

Nei vari discorsi e ramanzine mi veniva ricordato che mi si dava carta bianca, volevano varietà nei piatti, ma ogni qualvolta provavo a cambiare qualcosa mi veniva fatto notare che non andava bene, che non lo dovevo fare e via dicendo.

La lista della spesa è la stessa cosa. Ordino ciò di cui ho bisogno, ma puntualmente viene cambiata prima di arrivare ai fornitori, senza controllare se ciò che serve manca realmente, ma basandosi solo sui costi del materiale. Tutto questo significa che quando qualcosa da me ordinato, da loro poi cancellato, viene a mancare durante la settimana, è colpa mia.

Chiedere un giorno di ferie è qualcosa di impensabile o quasi. Te lo concedono giusto nei periodi di ponti, dove si lavora di meno, cosi che tra me e la pizzaiola riusciamo a gestirci la cucina da sole. Nel caso in cui ti serva un giorno specifico, l’ho sempre fatto sapere per tempo, ovvero il prima possibile, e non certo con un preavviso di poche ore. Loro, di tutta risposta, hanno sempre dato la conferma o no, a distanza di uno o due giorni dalla data richiesta.

I permessi non li ho mai presi, proprio per evitare questa tiritera.

La malattia è una bella questione. Sento in giro gente che la prende a buffo. Tanti mi dicono “se non ti da il giorno di ferie esiste la mutua no?” beh, non m’è mai piaciuto pensarla cosi. Anche perché preferisco prendermi i giorni di malattia quando veramente sto male.

E mi viene da pensare che sono un’idiota. Perché quando l’ho fatto due anni fa, per una polmonite mi sono dovuta assentare una settimana. Al mio ritorno la boss non credeva che fossi stata male e ha preteso le lastre. Quando invece mi sono “azzoppata” e costretta a casa con le stampelle mi sono fatta accompagnare al lavoro da mio padre per presentare il certificato medico.

Sono stata a casa una settimana, immobile. Tornai il lunedì seguente al lavoro (mia madre mi consigliò di far vedere la buona volontà convinta che mi rimandassero a casa) con le stampelle.

Loro non dissero niente. Ho lavorato dieci giorni con le stampelle in cucina, e ti posso assicurare che non è il massimo.

Mi tagliai con l’affettatrice e dovetti attendere la fine del turno per andare al pronto soccorso e farmi mettere i punti.

Insomma, con loro non è affatto piacevole lavorare (e anzi, è particolarmente stressante, tanto che si rischiano effetti sul fisico, e la dermatite è una di questi). Però avevo bisogno di un lavoro, che fosse vicino casa, con orari che mi permettessero di gestire gli impegni pomeridiani, con un contratto che mi permettesse di pagare rate e prestito, e soprattutto che mi lasciasse qualche ora per vivere. Perché sono sempre stata dell’idea che si lavora per vivere, e non si deve vivere per il lavoro.

Sono arrivata ad oggi. Ci sono stati altri cambiamenti.

Da febbraio si vociferava un cambio gestione (i miei colleghi ed io sappiamo già chi è, sappiamo quando è stato firmato l’atto, e abbiamo già preso accordi preventivamente) e attendevamo la comunicazione ufficiale.

La comunicazione è avvenuta il 30 maggio. E nello stesso giorno mi è stato detto che il mio contratto era in scadenza. Ovvero il primo di giugno. Mi è stato fatto capire dai boss che per quanto riguardava loro potevo tornare a lavorare il mese di giugno, ma senza contratto, in quanto “sarebbe stupido - parole loro - darti una copia del contratto e la lettera di licenziamento che richiede il cambio di gestione insieme”. Insomma da brave persone buone d’animo non mi avrebbero certo buttato fuori cosi. Non ci hanno però voluto dire chi fosse il nuovo proprietario, e ad oggi 12 giugno, a 15 giorni dall’ingresso del nuovo proprietario, ufficialmente ancora non sappiamo nulla.

Nel mentre, dall’incontro col nuovo, sono venuta a sapere che il boss sta spingendo per mandarmi via, dicendo peste e corna di me alle spalle.

Ora sono 12 giorni che sono senza contratto e 10 giorni che lavoro da sola. Si perché la pizzaiola è di nuovo incinta! E, fatalità, il boss parla bene di me, scherza, ride e chiacchiera (c’è da dire che fino a un mese fa ne lui ne lei volessero che si chiacchierasse tra colleghi in quanto sono convinti che parlando non si lavora, anche se io non cucino con la bocca ma con le mani), è disponibile ecc ecc. insomma ha una faccia da culo di proporzioni indescrivibili.

Dimenticavo il discorso ferie. Consegnammo il foglio con la richiesta dei giorni a metà aprile, cosi da mettere le mani avanti conoscendo in via ufficiosa la situazione di cambiamento.

Non ci dissero niente. Fecero come se niente fosse, dicendoci che avrebbero guardato i giorni e ci avrebbero dato la risposta alla richiesta ferie.

La risposta ovviamente ci è stata data un mese e mezzo dopo, il giorno in cui ci hanno detto di aver venduto l’azienda, dicendoci quindi di non programmare le ferie perché il nuovo proprietario sarebbe entrato a luglio, e di certo non ci avrebbe permesso piu di una settimana di vacanza.

Fortuna ha voluto che con il nuovo abbiamo preso accordi anche per questa situazione.

Insomma, chiunque, dopo un anno di lavoro, ha bisogno di staccare per riprendersi. Non dico un mese, non dico 40 giorni, ma almeno una decina, calcolando poi l’ambiente pesante e lo stress accumulato, servono.

In tre anni non ho fatto altro che cucinare sempre le stesse cose pur avendo carta bianca fittizia, lottare con scarafaggi e cercare di far capire ai boss che la cucina aveva bisogno di una disinfestazione seria e non di un veleno a basso costo, abbozzare ogni qualvolta il boss urlasse contro qualcuno, e non arrabbiarmi quando, davanti ad altra gente cominciava a sbraitarmi contro (perché lui, quando sta solo con te, le cose che non gli vanno bene non te le dice, attende sempre “testimoni” per umiliarti per bene), pranzare di nascosto dai boss e gettare, sempre di nascosto, tutto ciò che non era fresco. Se fossi stata ai loro dettami avrei dovuto riciclare il riciclato, e riciclare anche quello che fosse andato a male.

Non so quanto possa essere utile questa mia mail, ma è la mia ultima esperienza lavorativa, in 8 anni di lavoro in cucina, e la prima sotto contratto.

Un bacio

Arianna